I discorsi a perdere su un Ministero del Mare senza i poteri di una vera regia

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LA SPEZIA – L’istituzione di un non meglio definito Ministero del Mare ha ovviamente sollecitato diversi interventi in ordine sparso che meritano attenzione ma che rischiano di sviare l’attenzione sulla sostanza di un tema strategico.   Quindi?

di Salvatore Avena  

La sensazione che si prova è che troppe discussioni, ripetute nelle grandi occasioni e magari solo aggiornate nei tempi, possa mettere in secondo piano il ruolo centrale stesso che l’economia della portualità e della logistica rappresentano per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese.

Si torna insomma tante, troppe volte sul tema con idee e proposte, tutte legittime, ma che poi alla fine hanno il solo scopo di ridisegnare più che altro responsabilità burocratiche senza entrare con coraggio nel merito delle questioni che sono il vero volano per rafforzare le economie e il lavoro che sono generate dalla portualità, dalla logistica e dai trasporti.

Perché il primo vero assioma è che la crescita, lo sviluppo e la prospettiva soprattutto di un Paese come il nostro non può prescindere dalle economie generate dalla portualità!

Ma oggi parlare di sola portualità è riduttivo se non vengono approfonditi e valorizzati, come asset strategici, tutti gli interessi e le attività collegati al mare e alla logistica terrestre.

Facciamo alcuni esempi. I cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello del mare, l’uso del mare e delle strutture per lo sviluppo delle energie rinnovabili come le pale eoliche, la questione dei moli o dei canali di accesso ai porti, i dragaggi, il potenziamento del traffico ferroviario per le merci e le necessarie infrastrutture,  l’organizzazione logistica degli spazi e i magazzini dell’interno, compresi gli interporti,  la digitalizzazione e l’automazione dei processi operativi, le politiche in attuazione del PNRR relative ai green Port e la blue economy più o meno articolata, sono tutti temi che devono essere studiati, sviluppati e realizzati da un’unica regia che abbia una visone di insieme.

Oggi invece queste competenze sono abbracciate – e diremmo “disperse” – da e in più ministeri: Ambiente, Mims, Mise.

Per cui è facile comprendere come sia impossibile avviare processi di sviluppo organici che tengano insieme tutti gli aspetti elencati e le loro dinamiche.

Per entrare quindi nel merito del dibattito sul Ministero del Mare può avere anche un senso se si possiede questa visione e se si hanno concentrate prerogative di tutte le deleghe e e di tutte le competenze necessarie.

Per questi motivi credo che questa soluzione, solo se applicata in questi termini, possa davvero rappresentare un’opportunità per ridurre – e in alcuni casi azzerare – la burocrazia, i passaggi autorizzativi e le competenze – lo ripetiamo “disperse” – su più ministeri.

E sarebbe l’occasione vera per evitare repliche e duplicazioni di provvedimenti amministrativi e di conseguenza per valorizzare il Paese come piattaforma portuale logistica nel suo complesso e metterlo nella condizione di competere a pieno titolo nel sistema mondiale.

Se così non potrà essere e non sarà allora il consiglio è di evitare di stravolgere quello che oggi esiste frazionando e assegnando competenze e deleghe a un fantomatico neo ministero perché il risultato sarebbe soltanto quello di appesantire ancora di più un sistema, quello portuale e logistico, che ha invece bisogno di correre veloce, senza troppi intoppi di alcun genere, estranei alla logica dell’impresa.

In sostanza, per essere realmente concorrenziali e competitivi come Paese è fondamentale ridisegnare una logica di coordinamento vero e, soprattutto,  e trovare una linea guida condivisa che può anche tradursi nel Ministero del Mare ma solo se dotato di contenuti e di competenze trasversali, con portafoglio e con le deleghe.

In caso contrario è meglio parlare di altro!

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