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Si è riacceso il dibattito sulla riforma dei porti in Italia che ha segnato il riemergere di vecchie e nuove proposte e con la prospettiva di riperderci nelle parole mentre arrivano dal Mediterraneo segnali forti di chi ha intuito il futuro di una globalizzazione che si sta deglobalizzando.
di Salvatore Avena
La recente analisi del Centro studi di Cassa Depositi e Prestiti sulla deglobalizzazione e il ruolo dell’Italia nel Mar Mediterraneo nell’ambito degli scambi commerciali aveva evidenziato già alcuni mesi fa la forte ascesa della regionalizzazione nei traffici container e la spinta ad un nuovo sviluppo della cooperazione economica fra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
In questa analisi veniva e viene valorizzata la grande opportunità per la portualità italiana che potrebbe portare l’Italia a diventare il principale hub logistico-portuale tra Nord Africa ed Europa continentale.
In sostanza lo studio di Cassa Depisti e Prestiti (CDP) indicava una graduale riduzione del peso del commercio internazionale determinato dalla riduzione delle catene globali di approvvigionamento rispetto al periodo pre-Covid i cui effetti andavano a potenziare produzioni industriali e hub portuali logistici nelle sponde del nord Africa e del Medio Oriente.
Questo nuovo contesto – continuava lo studio – diventava insomma, nel trovare nuovi equilibri commerciali, una grande opportunità per la portualità italiana.
Lo studio sollecitava, per il nostro Paese, azioni per dare piena efficienza ai fondi del PNRR potenziando le infrastrutture dell’intermodalità, migliorando l’efficienza dei servizi portuali accorciando in ciò tempi di sosta per le navi e per le merci, sviluppando le aree retroportuali attraverso l’istituzione di Zone Economiche Speciali (ZES) e Zone Logistiche Speciali (ZLS) e promuovendo l’efficientamento degli scali in ottica green.
Rispetto a questi obbiettivi è difficile fare ora un bilancio di quanto è stato fatto, concluso o rimasto in una fase di sviluppo. E’invece più che evidente che cosa sta accadendo nei Paesi del Nord Africa che, indubbiamente, hanno colto prima e meglio di altri ogni opportunità per intercettare i traffici mondiali.
Un caso per tutti è l’Egitto che grazie alla sua particolare posizione strategica nel Mediterraneo è il Paese, che tramite anche il recente rafforzamento del Canale di Suez, può svolgere un ruolo fondamentale per intercettare la merce e godere di opportunità commerciali nella gestione del traffico a medio raggio.
E mentre il nostro Paese torna ad interrogarsi, a più voci, su come si possa rafforzare la sua piattaforma logistica portuale anche attraverso le risorse del PNRR, i principali player mondiali dell’armamento del terminalismo e della logistica investono pesantemente proprio in Egitto per cogliere le citate nuove opportunità.
Lo scorso anno infatti il colosso dell’armamento Hapag-Lloyd, il gruppo tedesco Eurogate e Contship Damietta Srl in joint venture hanno firmato con le autorità governative egiziane al Cairo un contratto per lo sviluppo e la gestione del nuovo Terminal 2 nel porto di Damieta nell’Egitto settentrionale con una capacità operativa di oltre 3 milioni di Teus.
E’ di pochi giorni fa la notizia che Med Log, la società intermodale del Gruppo italo-svizzero MSC, ha sottoscritto con il governo egiziano un accordo di trent’anni per costruire e gestire un porto secco e un centro logistico nella Città del decimo Ramadan nell’entroterra tra Il Cairo e Suez. L’area complessiva è di 110 ettari circa, di cui sessanta (poco meno) destinati al porto secco e cinquanta al centro logistico. Per completarla è previsto un investimento di 100 milioni di dollari, interamente a carico di Med Log. La nuova struttura dovrebbe movimentare, a regime, 400 mila container l’anno.
E non è finita. Si sa che prossimamente anche la Ocean Express firmerà un accordo per realizzare un altro porto secco nell’area settentrionale dell’Egitto, nei pressi di Alessandria, dove è previsto un investimento di oltre 25 milioni di dollari.
Insomma mentre noi studiamo, gli altri fanno.