Tempo di lettura: 3 minuti
Dai rischi da evitare all’opportunità di far funzionare bene quanto già previsto a cominciare dalla conferenza dei presidenti di Adsp, luogo naturale di confronto e di proposta per politiche portuali e logistiche integrate. Una prima vera riforma? Intervenire con azioni incisive di radicale sburocratizzazione dei processi in capo alle ADSP.
di Salvatore Avena
Ha ripreso vigore la discussione sul futuro dei porti Italiani. E non è certamente un caso che sia ripartita dalla Liguria che, oltre ad essere la regione dove insistono i maggiori porti core italiani, Genova-Savona e La Spezia, esprime anche il vice ministro dei Trasporti Edoardo Rixi con la delega alla portualità.
L’impressione diffusa è che siamo di fronte, per i temi trattati, non all’ennesimo annuncio come spesso capita quando si insedia un nuovo governo, ma ad una forte volontà di mettere mano alla riorganizzazione dello status dei Porti Italiani a cominciare dalla loro governance!
La riorganizzazione delle funzioni è, fondamentalmente, pressoché obbligatoria soprattutto per l’aspetto fiscale delle Autorità di sistema portuale, perché da anni l’Unione Europea ammonisce l’Italia invitandola a rivedere il sistema di tassazione portuale oggi considerato elemento di privilegio che non favorisce la competitività.
Ciò al pari della richiesta di separare le attività economiche da quelle non considerate tali.
Resta ancora in campo, inoltre, l’idea del vice ministro di rivedere l’assetto stesso delle Autorità di Sistema portuale per trasformarle in società per azioni con capitale a maggioranza pubblica pro quota Stato, Regioni e Comuni. Idea che comunque non trova gradimento nella portualità in quanto ritenuta lesiva per il modello di governance pubblica.
L’ingresso nel capitale delle ADSP, trasformate in Spa, di capitali privati, seppure di minoranza, rischierebbe in effetti di compromettere il sistema di garanzia pubblica, per cui, di fatto, non potremmo più parlare di autority ma di un’altra cosa.
A completamento del ragionamento va considerato il fatto che oggi i maggiori investitori privati, con risorse disponibili, sono le grandi compagnie di navigazione, impegnate già a integrare in maniera consistente i sistemi logistici portuali e non solo.
In conclusione c’è, dunque, il rischio di abdicare alle funzioni fondamentali regolate già dalla legge 84/94.
Pensiamo solo alle concessioni demaniali e alle posizioni privilegiate da parte di soggetti privati, ammesso che ciò sia reso possibile. Nondimeno, e più in generale, questa proposta si renderebbe anche poco funzionale per le ADSP più piccole e con limitate attività marittimo-portuali.
E poi in tutta questa discussione non va dimenticato che si inserisce anche la proposta di riforma del ministro Calderoli sulle autonomie differenziate che, secondo alcuni, potrà interessare anche i sistemi portuali. Va da sé che, se ciò accadesse, si rischierebbe di trovarci in Italia con un sistema portuale nazionale disomogeneo e soprattutto con le regioni in concorrenza tra di loro proprio per i porti.
Detto e confermato chiaramente: il modello istituzionale dei Porti del Nord Europa non è applicabile in Italia. Nel nostro Paese la politica portuale è fatta dallo Stato, le infrastrutture stradali e quelle ferroviarie sono progettate e finanziate da politiche nazionali in quanto strutture e strumenti indispensabili per favorire il trasferimento delle merci e delle persone. E spesso anche utili a superare i divari fra diversi territori.
Anche se pare, infine, solo una questione di forma va ricordato che i più importanti scali italiani, tra i quali Genova e La Spezia, sono stati inseriti fra i porti “core” ovvero tra i porti che per strategicità e traffici corrono lungo il corridoio europeo TEN-T quindi considerati fra i nodi principali per il trasferimento delle merci e delle persone tra i Paesi dell’Unione. La domanda conseguente è: si può consentire a una Regione di gestire in maniera autonoma un porto che ha una valenza europea con gli investimenti necessari e le risorse che produce che hanno rilevanza nazionale?
La tendenza a complicare anche le cose semplici è purtroppo diffusa nel nostro Paese. Per cui credo in buona sostanza che sia intanto opportuno far funzionare bene quello che oggi è previsto dalla riforma del Rio a cominciare dalla conferenza dei presidenti di Adsp, luogo naturale di confronto e di proposta per politiche portuali e logistiche integrate.
Dopo di che o in contemporanea bisogna mettere mano alle questioni aperte dall’Unione Europea. Ma è fondamentale intervenire con azioni incisive di radicale sburocratizzazione dei processi che oggi sono in capo alle ADSP.
Già solo questa sarebbe una vera e propria, attesa grande riforma.
L’auspicio è che comunque non si facciano le cose in fretta ma che avvii un proficuo confronto con tutti i portatori di interessi del cluster marittimo portuale e logistico e soprattutto che non si privilegi il tema della regionalizzazione che minerebbe di fatto la vera forza strategica della portualità italiana.
Sono convinto che il vice Ministro Rixi, per la sua storia per le sue conoscenze dei sistemi portuali e per le competenze già dimostrate in passato, saprà come intervenire avendo ben chiara la strategicità della portualità nel nostro Paese.