LA SPEZIA – Torna il confronto sulla riforma dei porti imposta dai mutamenti in atto nel mercato globale e dalla innovazione tecnologica: il percorso non è facile ed è denso di insidie ma …
di Salvatore Avena
Ogni qualvolta che si avvia una discussione sulla portualità, intesa questa volta nell’ambito della proposta di riforma del settore, ci troviamo di fronte ad un mare magnum di interventi con idee e proposte tra le più diverse, tutte degne, fortunatamente, di particolare attenzione.
È infatti evidente che la portualità e la logistica stanno vivendo, dopo l’effetto Covid, una nuova stagione, per certi versi pure questa inimmaginabile per l’altra conseguenza della chiusura di un ciclo che aveva avuto la sua genitura con l’avvio della globalizzazione dei mercati e la standardizzazione delle logiche di trasporto a livello mondiale.
In questo contesto è dunque doveroso pensare a una nuova visione della portualità per la quale è opportuno e necessario rivedere e integrare il sistema normativo avendo tuttavia sempre di fronte sia ciò che sta accadendo nei mercati sia quale dovrà e potrà essere il ruolo dei porti italiani.
Per cui trovo corretto e puntuale quanto il viceministro Edoardo Rixi, che partendo appunto dall’analisi del contesto, stia coinvolgendo il sistema della Autorità di Sistema Portuale e figure con alte competenze per giungere a formulare il progetto di una proposta di legge o di legge delega.
Spero e immagino tuttavia, prima della discussione e della approvazione alle Camere, che ci sia anche una preventiva campagna di ascolto con i portatori di interesse, per definire le priorità e, se necessario, integrare la proposta normativa definitiva.
Lo dico perché tra le priorità del viceministro che ho colto nei suoi interventi c’è quella di mettere al centro gli interessi di ogni porto italiano nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali.
Così le comunità portuali dei singoli porti possono davvero fornire un valoroso contributo perché spesso l’esperienza sul campo può essere utile per dare completezza a una visione più ampia del sistema portuale italiano, partendo appunto dall’analisi dell’ultimo miglio della merce!
Non trovo, invece, né prioritario né fondamentale ridiscutere del ruolo degli enti locali nella logica della riforma dei porti che hanno una loro rilevante funzione perché senza l’ascolto e il coinvolgimento dei territori si corre il rischio di creare nuove e più severe servitù, cosa che la mia città, La Spezia, conosce bene, come conosce l’impossibilità di avere su di esse i dovuti confronti. Per cui nella sostanza le servitù sono da sempre subite.
Ogni piano regolatore portuale deve avere l’intesa con gli enti locali che posseggono una migliore comprensione delle esigenze e delle aspettative della comunità locale e possono rappresentarne gli interessi nella gestione e nello sviluppo del porto. Basti pensare alle reti infrastrutturali e alla pianificazione urbana. Non a caso si parla di città portuali!
Tutto ciò non significa aumentare la burocrazia o complicare i processi, anzi, si devono porre le basi per costruire una buona e produttiva armonia che eviti, come accaduto in alcune realtà portuali italiane, contrasti e visoni contrapposte sullo sviluppo degli scali e delle connesse attività.
Poiché ci sono temi per loro natura di interesse nazionale e quindi di prerogativa diretta dello Stato e altri di interesse locale che devono essere discussi e concordati nel territorio e con il territorio. Già prevedere e sancire questo principio potrebbe essere di rilevante valore per la nuova legge sui porti.
A discussione appena iniziata, penso comunque che, in un settore così complesso e complicato, infarcito di rappresentanze associative e nel quale spesso a dominare è il campanilismo, sia fondamentale fare prevalere la visione d’insieme del cambiamento in atto tenendo conto delle nuove vocazioni strategiche dell’armamento, della logistica portuale e dei trasporti, e per una volta, inquadrare la proposta di riforma in un contesto di evoluzione tecnologica informatica e digitale.
Senza dimenticare il drammatico appesantimento burocratico del settore pubblico nei processi di importazione e di esportazione della merce che concorre a rendere meno efficiente l’intero sistema economico italiano.
Che dire? Che è un percorso difficile e pieno di insidie quello che ha intrapreso il Viceministro Rixi, al quale credo tutti noi, nei diversi ruoli, dobbiamo collaborare e augurargli buon lavoro perché in questa partita si gioca davvero il futuro della portualità italiana e non solo.