LA SPEZIA – “La Città della Spezia ha da sempre un legame profondo con gli esuli giuliano dalmati essendo stata fra le prime in Italia a dare accoglienza, conclusa la Seconda Guerra Mondiale, ad oltre quattromila persone che qui trovarono il proprio destino e contribuirono in modo determinante al futuro della nostra comunità come oggi noi la conosciamo”.
Con queste parole il sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini ha celebrato il Giorno del Ricordo rievocando così la partecipazione della comunità spezzina nell’accoglienza degli esuli che “erano italiani che con estrema difficoltà, dal campo profughi di Ruffino e dalla caserma Ugo Botti, riuscirono a stringersi gli uni agli altri ma allo stesso tempo a fare un passo in avanti e costruire insieme agli spezzini un nuovo spirito solidale.
Le loro non erano certamente storie semplici. Erano storie di violenze indicibili, di vergogna e di offesa, ed erano storie che si dovevano tacere perché nessuno, accecato dal pregiudizio, era disposto ad ascoltare, credere, provare compassione.
L’offesa più grande nei decenni che sono seguiti è stata proprio questa: essere italiani ma non avere il diritto di raccontare una parte della tragedia violenta dell’Italia del dopoguerra che ancora tanti stavano vivendo mentre a Roma già si ballava per le strade con gli occhi rivolti a un futuro diverso. E con la paura di essere tagliati fuori, di non riuscire a raggiungere e di non fare mai parte di quel futuro.
Oggi non siamo qui solo per ricordare quelle grandi sofferenze umane e storiche, ma siamo qui per restituire loro voce e dignità, in un percorso di riattualizzazione storica. In troppi e per troppo tempo hanno tentato di cancellare quello che è accaduto nei territori istriani, fiumani e dalmati, rubando così l’anima a chi è sopravvissuto. Noi, invece, abbiamo la responsabilità istituzionale di interrompere questo assordante silenzio e attuare pienamente la legge del 2004, senza se e senza ma, che istituisce questo Giorno del ricordo per conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, e della più complessa vicenda orientale.
Proprio perché non ci sono testimonianze di serie A e di serie B, noi vogliamo ascoltarle, vogliamo riscoprirle, vogliamo imparare a utilizzarle come antidoto alla violenza: sono storie di italiani che parlano dell’Italia, sono storie che appartengono a tutti e che devono aiutare a costruire un’Italia migliore e più consapevole e un uomo più umano, sulla scia di quello che ci ha lasciato Romano Guardini”.