LA SPEZIA – Il confronto, al terminal cruise di Largo Fiorillo, tra le anime della portualità, della logistica e dell’industria affidato in tre tavole rotonde, atteso era l’intervento sul contesto di Paolo Magri, vice presidente esecutivo e direttore Ispi e prof di Relazioni internazionali alla Bocconi.
di Enzo Millepiedi
Collegato in videoconferenza con la moderatrice Veronica Gentili e la sala del terminal gremita il professor Magri è partito con il dire che proprio “i porti sono un po’ il simbolo di questi anni difficilissimi”
Ed entrato nel merito, con la pacata chiarezza che gli è propria, nel dialogo con la Gentili, molto a suo agio quando si tratta di concetti geopolitici, il professo Magri ha intanto messo le cose in chiaro così: ” Vorrei tanto dire “andrà tutto bene”, ma non sarebbe onesto farlo.
Perché – ha spiegato – siamo in una situazione dinamica con la Russia che sta avanzando e purtroppo è cambiato il vento nelle ultime due settimane.
E questo mentre il resto è tutto in stallo a cominciare da un negoziato che non c’è e che si riverbera inevitabilmente sulle economie.
E dunque? “Avremo davanti giorni molto pesanti, sentiremo con forza la richiesta di armi di lunga gittata dall’Ucraina. Una crisi a grappoli – l’ha definita – ma bisogna dire che, fino a questo momento, almeno la politica sta tenendo e questa è forse l’unica notizia buona, anche se la coesione che ha retto fino ad ora sta iniziando a fare intravvedere crepe tra Europa e Stati Uniti”.
Transitando dalla metafora portuale, Veronica Gentili ha sollecitato il professore ad utilizzare la stessa figura retorica per spiegare “coram populo” che cosa, secondo lui, ci possiamo attendere tutti.
Ed ecco immediato il prof: “Metaforicamente stavamo già facendo, in due anni di Covid, una maratona, ma quando siamo arrivati, affaticati, all’ultimo chilometro, il 42°, ci siamo improvvisamente trovati, invece del traguardo, a dover affrontare un’altra competizione con cinque gare, un pentathlon, e per di più in contemporanea: crisi nella sicurezza, crisi economica, crisi umanitaria, crisi energetica e crisi alimentare, e per di più appesantiti, in queste corse supplementari, da un sacco di debiti ex Covid”.
Il prof ha poi affrontato, a completamento della descrizione del contesto, cioè del tempo che ci è dato di vivere, la questione della globalizzazione.
“Sulla globalizzazione era sbagliato fare dei trionfalismi come accadeva prima, così come oggi fare del catastrofismo. Non credo che la globalizzazione sia improvvisamente finita, è vero invece che semmai aveva delle crepe già prima del Covid. E comunque qualcosa di sicuro sta cambiando, ma è chiaro che, se il clima che oggi esiste con la sola Russia, arrivasse a coinvolgere anche la Cina e l’India, allora il discorso comincerebbe ad essere molto, ma molto diverso.
Come dire, se l’isolamento dell’Europa si allargasse a diverse e consistenti parti dell’Asia, allora sì – ha ripetuto – che avremmo un grande problema.
A bocce ferme quindi che dire e che fare?
“Calma e gesso, la globalizzazione ha certamente più problemi di prima ma l’autonomia dell’Europa, anche da un punto di vista militare, era anche prima un imperativo che si sarebbe dovuto imporre per non continuare ad essere il vaso di coccio tra i vasi di ferro delle grandi potenze.
Il problema è che questa Europa corre, corre, corre, anzi corre tantissimo ma se messa a confronto con le altre realtà mondiali è come se fosse ferma. La questione della democrazia europea condizionata dallo strumento del veto, come ha paralizzato l’Onu, paralizza anche ogni decisione, pur urgente, dell’Europa. E già qui un ripensamento è d’obbligo.
Interessante è stato poi il chiasmo tra valori e interessi economici riferiti alla Cina: “La Cina ha valori che la legano alla Russia ma ha il terrore di sbagliare e compromettere i conti, cioè gli interessi, nei suoi rapporti economici con il mondo occidentale, Stati Uniti e Europa, suoi mercati di riferimento. Ecco perché la Cina al momento non sta facendo alcun passo né sul piano dei valori né su quello dell’economia, per non compromettersi. Ma è altresì chiaro che per proprio questo non si ritiene ancora pronta per fare da autorevole Paese mediatore del conflitto scoppiato nel cuore dell’Europa.
E l’Italia professore, l’Italia come è messa?
La risposta è stata chiara: “Oggi noi abbiamo un governo rispettato a livello internazionale, tantissimi soldi in arrivo dal Pnrr e anziché aver disoccupazione non abbiamo occupati. Una situazione insomma diametralmente opposta a quella precedente quanto a governi, a pochi soldi e all’alta disoccupazione. Il problema ora è quindi di non sprecare tutte queste opportunità utilizzando bene i soldi e cogliendo le sfide del cambiamento”.
Come si vedrà dal contesto raccontato, analizzato e commentato dal professor Paolo Magri, sono stati molti gli spunti per le successive tre tavole rotonde. La prima sulla globalizzazione, la seconda istituzionale e la terza sulle connessioni della comunità portuale spezzina in un mondo, detto fino allo sfinimento, in continua evoluzione, senza confini e soprattutto, chiamato a farsi carico del cambiamento imposto dalle ultime gravose sfide con le quali siamo chiamati a misurarci. Seriamente. Anche nella battaglia interna, diuturna, con una occhiuta burocrazia, che, appostata dietro ogni angolo, spunta ovunque.
(2 – continua)