Roma – La corsa alla barca costruita in vetroresina ha raggiunto, in oltre sessanta, numeri impressionanti e si prevede inoltre che il mercato globale del solo materiale “fibra di vetro”, arriverà a 4 miliardi di euro nel 2024.
Soltanto nella nautica, che da sola copre un’ampia fetta del mercato, si aggravano i problemi per affrontare il “fine vita” dell’imbarcazione.
Per decenni si è tentato di risolvere la questione conferendo in discarica (più o meno autorizzata) e con l’incenerimento oppure, prassi molto più economica, con l’autoaffondamento, magari con oli, carburanti e altre schifezze comprese.
Così i danni ambientali sono diventati insostenibili e vanno affrontati con il massimo impegno e rigore.
Le alternative a questi sistemi …facili sono altre prassi molto costose e quindi poco usate: la macinazione e la pirolisi, che indica il processo di decomposizione chimica o di trasformazione del materiale in sostanze riciclabili, tramite temperature molto elevate in ambiente deossigenato.
Da questo processo si ottiene pyro gas, pyro oil e sottoprodotto solido. Il pyro gas è simile al gas naturale e può alimentare il bruciatore dedicato allo scopo. L’oil può miscelarsi con altri liquidi simili oppure usato per asfalti. Questi due prodotti sono privi di zolfo, alogeni, fosforo, metalli pesanti e simili, che danneggiano gravemente l’ambiente.
Non mancano0 esempi virtuosi come quello della Rhode Island Marine Trades Association negli Stati Uniti, che utilizza gli scafi in vetroresina dismessi per i produttori di cemento, mediante frantumazione.
La Francia è stata la prima – guardando l’Europa, ad adottare una rete nazionale ufficiale di riciclaggio e demolizione delle barche, fondata dalla Fédération des Industries Nautique.
La Commissione Europea afferma che su più di sei milioni di barche di lunghezza sotto i 22 metri, che gravitano nelle migliaia di porti del Vecchio Continente, circa 80mila unità all’anno sono al “fine vita”. Solo in Francia ci sono 52 siti di demolizione che arriveranno a smaltire 25.000 barche entro la fine del 2023.
Si cita a questo proposito la Svezia dove un cantiere riesce a produrre barche con rottami riciclati a ciclo chiuso per il 10%, e ha un prototipo di 15,5 piedi (4,70 metri) fatto con il 20% di vetroresina riutilizzata.
E in Italia che cosa succede? Con la legge n. 68 del 2015 si è introdotto il reato di responsabilità penale per “Delitti contro l’ambiente” che prevede una pena massima di 15 anni di detenzione. Ma – si osserva – la legge non basta serve senza una rete nazionale di aziende dedicata al recupero e riciclo di materiali.
Fonte Seareporter