Corridoi doganali, logistici e ispettivi? No al gioco delle tre carte

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di Salvatore Avena

La digitalizzazione è un processo che interessa tutti i settori economici e produttivi a livello globale, con lo scopo di rendere più efficienti, qualitativi e competitivi i servizi e i prodotti.

Nel settore portuale e logistico, la digitalizzazione si traduce nell’uso di tecnologie innovative che consentono di migliorare la gestione dei flussi di merci e di persone, di abbattere i costi operativi e di aumentare la sicurezza e la sostenibilità ambientale.

In sostanza la cosiddetta transizione digitale prevista dal PNRR nel settore logistico portuale ha trovato molte possibilità di applicazione; tuttavia, e spesso però, senza una visione di sistema che consideri gli elementi socioeconomico delle città portuali.

L’aspetto meno positivo dell’innovazione tecnologica legata ai corridoi doganali riguarda le possibili ripercussioni negative sulle economie e sull’occupazione delle città portuali, dove molte imprese specializzate tradizionalmente dipendono dall’attività portuale e logistica per la loro crescita e il loro sviluppo.

Il continuo avvio di corridoi doganali, che in sostanza significa impoverire le economie delle città portuali, perché significa spostare le operazioni doganali , le rotture di carico e la logistica integrata a destinazione sono un fenomeno che sta modificando il settore portuale, con conseguenze ambivalenti e dirette proprio sulle economie dei porti e sull’occupazione delle molte aziende che vivono con i porti, nei porti e negli interporti di prossimità.

Da una parte, i corridoi doganali sono contrabbandati come processi di innovazione e integrazione, espressioni nei quali il termine efficienza sembra giustificare ogni conseguenza diretta e indiretta nei servizi logistici portuali. Dall’altra, essi rappresentano una sfida, una minaccia e un rischio, perché nella realtà diminuiscono il ruolo e il valore aggiunto che creano i porti nelle economie delle città, e contribuiscono a incrementare la loro esposizione a nuovi pericoli e vulnerabilità sulla sicurezza.

Questo ragionamento significa che per molti porti, la spinta sui corridoi doganali, può comportare una perdita di attività, di ricchezza e di occupazione, con gravi conseguenze sulle comunità locali e sul territorio. I corridoi doganali, infatti, possono favorire la concentrazione del traffico e dei servizi in pochi hub regionali, a discapito dei porti e dei relativi retroporti nei quali gli operatori si trovano a gestire una maggiore concorrenza e una minore domanda. Ciò è in palese contraddizione con la spinta a favorire e a sviluppare nuovi rapporti costruttivi e integranti tra porti e città.

I corridoi doganali possono, inoltre, escludere o marginalizzare lo sviluppo e la crescita dello stesso indotto portuale, questione anacronistica poiché i porti e le aree dei retroporti di prossimità  sono dotati delle infrastrutture, delle tecnologie e delle competenze necessarie per adeguarsi alle nuove esigenze del mercato e dei grandi player.

Attenzione però, perché cosa diversa e auspicabile sono invece i corridoi logistici, vera interconnessione fra i porti e gli hub delle aree logistiche. Perché un corridoio logistico consiste in una rete di infrastrutture e di servizi che collega i porti con una zona di produzione o di consumo facilitando il trasporto di merci.

Questi strumenti gestiti con uno sviluppo adeguato di infrastrutture materiali ed immateriali sono infatti la vera sfida per accrescere le potenzialità dei porti con nuovi traffici e quindi favorire le economie dei territori.

Da non confondere inoltre, insieme ai corridoi logistici, i corridoi ispettivi pubblico-privati nati e sperimentati nel Porto della Spezia con l’unico obiettivo di favorire i controlli anche unificati delle merci.

Trasferire valore economico da un posto ad un altro del Paese, quindi da una città portuale ad un’altra area con i corridoi doganali, è solo lo strumento per aumentare una inutile concorrenza e candidare, se non addirittura condannare le città portuali a diventare aree economiche a bassissimo valore aggiunto e nelle quali il territorio subisce i disagi indotti dalla presenza di un porto senza produrre benefici e in particolare nuova e buona occupazione.

Quindi si all’innovazione tecnologia, della quale non si può fare a meno, ma attenzione a non creare i presupposti per rendere le città portuali aree marginali ed economicamente depresse.

L’innovazione deve creare sviluppo e nuove opportunità non favorire il “gioco delle tre carte”!

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