Non bastava il Canale di Suez (il 12 per cento del traffico mondiale) bloccato a marzo da una portacontainer finita di traverso a mettere in fibrillazione il trasporto marittimo chiamato a svolgere una funzione straordinaria per far fronte alla crescente domanda di beni di consumo.
Né bastava la parziale chiusura per più di un mese a maggio del terminal container di Yantian, nel porto di Shenzhen, né ancora lo squilibrio provocato dalla crescente scarsità dei container (nonostante la produzione di nuovi nei quattro centri cinesi, che ne detengono in monopolio) e quindi dall’impennata inimmaginabile dei noli a sua volta provocata dall’impennata della domanda Usa dal momento in cui il Paese aveva anticipato la sua uscita dalla stretta.
Gli strascichi da Covid-19 continuano infatti a colpire in Cina, da dove tutto era cominciato, e dove, come si sa, basta un focolaio per mettere enormi entità in quarantena. Come è accaduto con la chiusura del terminal container di Ningbo-Meidong, situato sull’isola di Meishan, il più grande per tonnellaggio e il terzo porto container del mondo, che non poteva che aggravare, proprio per questo, la criticità già elevata dei colli di bottiglia distribuiti nella catena del commercio e della logistica globali.
La fredda contabilità dei container stivati sulle navi bloccati fuori dei porti sta arrivando alla astronomica cifra, nel contingente, di tre milioni. Con navi costrette ad attese anche di settimane per poter accedere alle operazioni di sbarco e imbarco.